Gino Tarozzi dipinge da più di dieci anni, la sua arte naturale ed istintiva si esprime per esigenze spirituali, per esternare stati d’animo densi di creatività .far capire al fruitore i sentimenti che esprimono la sua composizione .. sono state elaborate anche tecniche miste : acrilici, . tecniche ad olio, acquerelli . nelle sue opere vari elementi, ognuno con il suo significato. Specialmente nelle tavole dove ha dipinto i segni zodiacali in maniera vera , come elementi e nuove composizioni. Astratto, figurativo , concettuale informale; tutte le tecniche elaborate dal artista , tutte ricche di intensità cromatica un ricerca di serenità di spazio dal suo sentire ,ricco di contrasti profondi . sentimenti che si alternano per la sua dualistica personalità… evidenziati dalle farfalle, dai fiori ,dai paesaggi , dalle figure, e da tanto tanto colore.
LUCIA MONGARDI
Galleria casa del pittore MONTECATINI terme
Gino Tarozzi ci racconta quanto sia bella ,vivace e colorata la natura ,contraltare laico di certe tristi peregrinazioni sentimentali . E’ UNA NATURA MOSSA ,ARTICOLATA ,IRREALE PER certi aspetti ma è /potrebbe essere rinvenibile in qualche angolo di mondo. E’ STATO TUTTO RICARICATO, sia le forme più vive ,corpose e quasi ingigantite ad hoc, sia i colori a loro vola più intensi. Ma le svolazzanti farfalle testimoniano come il mondo sia ancora umano ,la vita amena e disintossicante, ancora esista la poesia delle piccole cose . La storia della natura forse inizia, forse finisce in quella tavola ,forse continuerà in quella’ atmosfera onirica . Dipende anche dal nostro stato d’animo, dalla nostra predisposizione interiore, dalla nostra volontà di adeguarsi alla felicità o isolarci.
FABIO BIANCHI
Galleria LA SPADARINA Piacenza
E’ la ricerca di se stesso e la scoperta di un proprio mondo interiore che traspare trovandosi di fronte alle opere di GINO TAROZZI ,con l’ ausilio di un colore, alle volte materico e alle volte trasparente ,rivelatore di una tecnica particolarmente abile , questo artista emiliano ha voluto trovare nelle sue tele, in prima istanza, se stesso tanto da affermare “L’arte mi ha insegnato ad esprimere il dolore e la gioia ed a metterlo in quadro” Le sue opere più RECENTI SONO QUESTI PAESAGGI DALLE PENNELLATE DECISE DIAMETRALMENTE ACCOSTATE A SCORCI DI realtà e a figure metafisiche ,che non hanno potuto lasciare indifferenti critica e collezionisti, basta ricordare un attività espositiva che vanta importanti luoghi sia in ITALIA che all’ ESTERO. La pittura di Gino Tarozzi rapisce anche quel pubblico che solitamente si definisce dei “non addetti ai lavori” che si trova a guardare delle opere provando la stessa sensazione che si ha sfogliando le pagine di un diario, come monito e testimonianza di momenti dell’ ESISTENZA DI UN UOMO
A. GROS
ART JOURNAL
Le opere di Tarozzi all’auditorium S. Lorenzo
Gino Tarozzi, nativo di Castel Maggiore, autodidatta, diciassette anni di attività sulle spalle e li dimostra tutti, a giudicare dalla mole di lavoro con cui ha inondato di colore l’auditorium S. Lorenzo di Cento. Ma Tarozzi ha una particolarità che manca a molti pittori self made, ha un’inventiva irrefrenabile che lo porta alla continua ricerca del nuovo e quando devia da questa strada e pare avvicinarsi a qualcuno che l’ha preceduto, subito si ritrae, torna sui suoi passi, lascia l’opera con un marchio tutto suo, qualcosa che solo lui sa dare. Semplice e complesso al tempo stesso, passa con facilità da un soggetto a un altro, dalla fine natura morta al paesaggio pieno di vita, alla leggerezza delle farfalle che imprigionano l’immaginazione di chi osserva. E come la farfalla vola di fiore in fiore, anche Tarozzi non trova una stabilità o forse questa poggia tutta sulle tante instabilità, di tecnica, di soggetto, di ricerca, che fanno da corollario al suo lavoro. Ma in tutti gli spazi che Gino Tarozzi fissa sulla tela non manca mai un’abbondanza e una vivacità infinita di colori, una firma che lo contraddistingue e ne esalta il suo lavoro. La mostra di Tarozzi resterà aperta fino a domenica.
Il Resto del Carlino di Cento
Giuliano Lodi
Gino Tarozzi – Il reale immaginato
E’ il trionfo del colore, ricercato nei suoi più segreti recessi, scavano fino a cavarne fuori la piena immagine del reale immaginato, dell’inventato da reinventare, della fantasticheria che prende forma nel compiersi del suo immobile divenire.
La pittura di Gino Tarozzi non smette di muoversi tra la concreta rappresentazione del fenomeno e la surrealità di certi scorci di incisività violenta, quasi pop; la sua personale poetica sovrannaturale lo spinge ad una sempre più ardita ricerca negli accostamenti cromatici, di profetica e visionaria ispirazione fauve. Sia che offra composizioni sognanti e trasognate, sia che preferisca paesaggi o nature morte dalle cadenze più classiche, o ancora il variopinto volo della farfalla, la sua ultima passione, lo sguardo resta quello vivace e veloce che meglio descrive la sua pittura, bruciata nelle fulminanti sinestesie che la mano raccoglie dall’occhio si lascia ingannare.
L’occasione di vederlo in mostra si presenterà alla Galleria “Il Punto” di via S. Felice dal 27 ottobre all’8 novembre.
Da Art Journal
Gino Tarozzi – Colori come musica
L’Arte dell’ultimo secolo si è espressa nella sua parte più ampia e più significativa attraverso un solo principio di azione, un solo imperativo: RIVOLUZIONE! Lo spostamento del baricentro del “bello” è noto; la rivalutazione del ruolo della tecnica ha sollevato tante polemiche e tuttora fa sentire il suo peso, ma ancora oggi nel 2007 a quasi un secolo dal terremoto delle avanguardie, avere la mano di un bambinopuò essere un dono prezioso, guardare il mondo dai suoi occhi un privilegio. Il candore di Gino Tarozzi è una costante che si ripete nelle sue opere su tela ma non una gabbia in cui isolarsi; è per questo che la produzione pittorica dell’arstista di Castel Maggiori si può a grosso modo dividere in due grandi capitoli: il primo coglie un mondo immacolato, al di fuori del tempo e della storia, di fiori e farfalle di chitarre e di creature innocenti, l’universo che il pittore astrae sembra volgersi su uno spartito musicale in cui ogni singola nota recita in una melodia ingenua secondo il valore dell’autore. In un mondo fuoridal mondo la prospettiva che importanza ha, i volumi e la composizione perdono la loro austerità, ciò che conta è il colore, la musica.
Curioso e in apparenza inesperto il Tarozzi sembra voler fare fare un giro nel mondo dei “grandi”, in una serie di opere dai soggetti più classici che introducono la presa di coscienza storica del pittore. Appaiono così saltuarie ma chiare citazioni ai grandi appunto del passato, in “Notte di luna piena” sembra rivivere un cielo stellato di Van Gogh, volti espressionisti, impressioni al tramonto. Se il “fanciullino” ostenta la sua inesperienza, in oltre 10 anni di attività il Tarozzi del mondo reale può contare su decine di mostre e presenze significative, come il suo percorso pittorico, il suo curriculum si evolve e si arricchisce, prossimo appuntamento all’Auditorium S. Lorenzo di Corso Guercino a Cento. La mostra, che racconta numerose opere simbolo della produzione e delle diverse tecniche di Gino Tarozzi aprirà i battenti alle ore 17.30 di Sabato 16 giugno e rimarrà a disposizione del pubblico fino al 24 dello stesso mese.
Da Art Journal
Gino Tarozzi – Colori curiosi ed aggressivi
I visi divisi da colori imprevedibili, riorganizzati nella pennellata macchiata da una semplicità consapevole e da un piglio d’avanguardia niente affatto pretenzioso. Gino Tarozzi si muove disinvolto e tranquillo attraverso le sue agitazioni esteriori, lo spreco di tonalità elettriche e la dispersione cromatica che accompagnano la sua arte non turbano il carattere pensoso e meditabondo incastastrato nell’assenza dei contorni e nella giocata malinconica degli sguardi. Trovare il “coté noir” di Tarozzi, là dove pure tutto è piano e gioioso, dove la libertà delle forme mette al riparo dalle drammaticità umane, è più facile di quanto superficialmente potrebbe pensarsi, una volta accettato il privilegio della sua pittura anarchica e surreale. Le forme classiche sono spesso ignorate nell’intreccio di colori curiosi ed aggressivi; la sensualità di donne nede danzanti tra chitarre o strumenti dalla natura ambigua dipinte nel piatto di un’iconografia fantastica, liberate e risparmiate da sfondi che rifiutano ognielemento accessorio o superfluo, non essenziale per il carattere coscienziosamente esuberante del dipinto, avvicina al percorso pittorico intrapreso da Matisse e a tutto quel filone di pittura “selvaggia” ed istintiva che sublimava la forma primitiva nello smacco del colore sconvolto e riconsiderato. E si ritorna qui al substrato che rende Tarozzi il più felice dei malinconici: nella libera interpretazione e riproposizione delle proporzioni anatomiche, nelle macchie che si trasformano via via in oggetti sempre fuori posto, a loro agio immersi nel totale disordine della sua rigorosa compostezza, il pittore accomuna e concilia gli innumerevoli conflitti e contrasti che corredano la natura dell’uomo. Sottolineando il continuato litigio tra verità e finzione, tra spessore dell’anima e bidimensionalità delle figure, infine tra estro ed intelletto, il colore ritrova sempre il suo primitivo ed originale valore costruttivo; diventa ostinato ed ossessivo nellassenza dei contorni, anomalo nello scarto dello spazio e di qualsivoglia regola o segnalazione prospettica. C’è un rapporto continuo per l’osservatore tra l’interno della tela e l’esterno, in cui la vibrazione cromatica giocata dall’artista diventa anello e incrocio tra le due visioni, le corrispondenze tra le forme appiattite diventano riconoscibili silhouttes, linee decorative dove l’astrazione si fa spesso più autentica della realtà, ed il mondo non è più che un curioso riflesso dell’universo dell’artista.
Da Art Journal
Per Gino Tarozzi – l’entusiasmo e la voglia di fare
La definizione di poetica comprende ciò che un artista pensa di sè e delle cose del mondo e l’idea che se ne è fatta. La poetica può essere più o meno interessante ma sta di fatto che non la si discute in quanto fa parte dell’essere dell’artista in esame. Forse una poetica vera e propria GINO TAROZZI non ce l’ha e d’altra parte, si sa, gli artisti sono spesso approssimativi e spesso con ambizioni superiori o diverse dal loro lavoro: basta guardare alle volte i titoli dei quadri, dove l’artista cerca spesso riferimenti fortemente simbolici, significativi e non si accorge che sta visibilmente esagerando.
Neanche questo è il caso di TAROZZI, i titoli dei suoi quadri sono semplici e si riferiscono a quello che si vede punto e basta. Quello che sorprende in questo pittore è la voglia di fare e soprattutto (parlando con lui) si può constatare come la fiamma dell’invenzione sia tutt’altro che spenta. Capita di parlare con dei pezzi di ghiaccio, dei presuntuosi, dei fuori di testa, con degli invasati. Sorpresa: GINO TAROZZI non rientra in queste categorie, parla in modo semplice, ma si accende, comunica un sottile velo di intuizione e di invenzione; è, come si diceva una volta, una persona viva.
E di “persone vive”, non sopraffatte dal mercato, dalle aste, dalle competizioni, ormai se ne incontrano poche. Ancora una volta si deve prendere atto che il famoso mercato, che in sè non è il diavolo, produce vittime, spegne i corpi, crea un’esercito di impiegati della produzione visiva, incita allo stravagante, al brutto, al falso sublime. È molto seccante dover dare ragione a certi aspetti delle ideologie degli anni settanta. Si può solo rispondere che loro parlavano del mercato in astratto (ancora, in fondo, non c’era), noi ce lo troviamo di fronte e non possiamo neppure dire: il diavolo è meno peggio di come lo si dipinge, perché in qualche modo oggi si tenta proprio questo: dipingere il brutto del diavolo; e questo perché, essendo in una situazione di epigoni, e non volendo uscire dalla corrente del secolo scorso, si deve lavorare sui margini. E i margini sono esigui e per stupire (épater les bourgeois) si deve tentare il fenomeno, il monstrum. Ed è così che la stupidità, proprio perché organizzata e mercantilmente richiesta, diventa talento e intelligenza. Tutto qui il mistero dell’arte contemporanea? No, ma quasi. Accade dunque che artisti che operano nel loro normale corso di vita, esistenza e ambiente, risultino più autentici di molti maestri a cinquantamila euro battuti nelle celebri aste, e che il loro lavoro risulti molto più rispettabile e decoroso. GINO TAROZZI rientra in questa categoria. Sia che dipinga tramonti o che tenti il post-surrealismo riesce a lasciare un margine (vero questa volta) di incompiutezza e di mistero. Mistero non è la parola adatta perché TAROZZI non è metafisico; diciamo meglio: nei suoi quadri c’è sempre un quid che è come la firma dell’opera. È come se il pittore dicesse: ho provato a fare un’opera, volevo fare qualcosa.
Questo quid, è pensabile, altro non è che una forma di sincerità, o se si vuole di autenticità che l’artista ha ed ha conservato.
Difficile definire a parole cosa sia questa sincerità. Inizialmente l’abbiamo tutti. Poi, per una ragione o per l’altra, molti la perdono e molti altri ancora neppure se ne accorgono. Si tratta di una invasione sottile da parte del mondo esterno,di una forma di corruzione delle nostre fibre psicologiche e culturali, per cui pur parlando sempre la stessa lingua e operando con lo stesso talento ci si trova a parlare in un’altra lingua e a fare cose che sembrano uguali a quelle di prima, ma che hanno perso i loro senso. Contro esempio: “PRATO FIORITO”, quadro con 14 papaveri. I fiori partono da un’estremità cenrale del quadro, arrivano sino al limite, una farfalla sta per posarsi sul papavero centrale, attorno erbe che vengono su come graffi (ma in qualche modo gentili) e la massa del sole che confina direttamente con questo prato dalle erbe alte e gobbe. Un triangolo di azzurro a nord est. Pochissime cose, ma è l’andamento dei fiori che conta, parono da un punto imprecisato e continueranno verso un punto X. Il pittore li coglie in un tratto segmentale e dà quasi la sensazione di una discesa che altro non è che movimento.
CAMMINANO I PAPAVERI? Certo che no, ma TAROZZI gli ha dato la possibilità del movimento e a guardar meglio anche fra le erbe e il sole, pittoricamente accostati, c’è spazio e distanza. E a guardar ancora meglio c’è discorso, linguaggio vegetale nell’esercito dei papaveri in marcia. Il buon risultato è che la pittura non diventa favola, ma resta nei suoi limiti di descrizione. Fra i quadri esposti si troverà anche il “morandiano” “I DONI DELL’INVERNO”. Composizione pulitisisima su un tavolo con tovaglia (quadrati azzurri e blu) con questa frutta essenziale, cachi e mele, disposti con una frugalità che non si vergogna di se stessa che anzi, proprio da quell’ordine ricava la sua energia di esistenza e il suo senso. In “NOTTE DI LUNA PIENA” c’è proprio una luna dietro una costruzione a gabbia di luce notturna, alberi e due fidanzatini sul margine del quadro con qualcosa di medievale, visto i capelli e i costumi che hanno. Cerchi di luce nel cielo, sfere recinte di giallo, fanno pensare a molte altre lune, ma incompiute, sospese, su un paesaggio schizzato come l’ordine delle favole, ma che non è, ancora una volta, linguaggio della favola. Qui si indica, invece, sino a qual punto l’onirismo può ridisegnare la realtà senza diventare stucchevole.
Non si può tralasciare un quadro appartenente al primo TAROZZI, si fa per dire, dal titolo “REBUS D’IDENTITÀ”. In questo lavoro si gioca un po’ di sconnessione alterando quello che potrebbbe essere il primo piano di un viso; gli occhi divisi da un naso-triangolo, occhi che galleggiano su di una superficie azzurra e una gialla. Guardando ancora, sia pure intenzionalmente, si può anche scorgere il “riassunto” dell’espressione, data da una forma di misterioso scoramento che potrebbe anche essere il “segreto” di quella persona. In “UN ASPETTO DELLA VITA”, sia le pale di un’elica che le stesse forme terminali della persona tratteggiata e accampata nella sua metà dello spazio del quadro, fanno pensare a certi scatti e a certe angolazioni pre-pop e pre-pubblicitarie di un nostro grande, Fortunato Depero (Uomo matita del 1926). Forse la “FARFALLA CON STERPI” (si spera in una serie) possono fermare, per il momento, la delicata e resistente invenzione di questo artista che quando lavora ha la strana abitudine di metterci del suo. E di suo ci mette, fra l’altro, il modo di situare le cose, di interrogarle nello spazio che loro compete, come a dire ciò che si chiede ad un dipinto perché possa esprimere qualcosa.
Gregorio Scalise
Omaggio a Gino Tarozzi
La poetica pittorica di Gino Tarozzi si segnala per il disegno marcato e i colori intensi e sgargianti, che conferiscono ai suoi soggetti sia figurativi che astratti una forza espressiva particolarmente seducente, tesa alla continua ricerca di rappresentare le straordinarie emozioni del proprio mondo esistenziale
Dott. Valerio Montanari
Ass. Cultura del Comune di Castel Maggiore
Giornalista Pubblicista
Omaggio a Gino Tarozzi
Ciò che è indistinto, caotico, notturno e fluttuante vive assieme ad un’altra forma di sogno, quella dell’ordine, ragione, armonia. Con quella di stabilità che è come dire “del riconoscibile”. E tuttore ciò che è limitato nel passaggio attraverso l’interpretazione dei fenomeni e della loro resa visiva non è un presunto punto di arrivo, questa è, una forma stabile, ma precisamente questa dialettica di sostanza che ognuno intravede in ogni fenomeno naturale.
Senza alcuna aspettativa le molte convergenze e risonanze e con l’effetto dei una attitudine surreale (o meglio dire, di una percezione del sovrannaturale), in questo senso la pittura di TAROZZI è visionaria. Nel senso che è dell’ambiguità e della natura proiettiva del risultati che è l’esatta indicazione del qui e subito del visibile e della prefigurazione che ciò nel possibile sta dopo. Sebbene anche nel senso di un fondamento geroglifico di sè stesso se si può definire in questo modo…
Translared by Howaerd Rodger Maclean
Da Quadri e Sculture – Rivista D’Arte
Omaggio a Gino Tarozzi
G. Tarozzi, che seguo da molto tempo, compie un percorso artistico che diviene sempre più avvincente, sempre più interessante. La ricerca del colore e del materico, le trasparenze, le frantumazioni, superate nelle vibrazioni, l’hanno portato ad un linguaggio pittorico personale che è la sintesi di vari studi, sino a giungere alla necessità di dare sempre più tridimensionalità alle sue forme.
Il principale valore delle sue opere è, comunque, il contenuto essenziale che riesce ad esternare, scaturito da una ricerca interiore, da una meditazione sentita come necessità. Intervallando i tempi di interiorizzazione con quelli di espressività libera, nella foga che gli è congeniale, rivela significati che, ancora prima di essere compresi, già divengono messaggio che coinvolgono in profonde emozioni. Ciò che è vagliato dalla sua mente e quello che sgorga dal suo inconscio divengono un “unico”: rivelazione affascinante, a volte sovraffollata di forme e colori, come i fantasmi emergono dal suo Io, a volte pacata, sfumata emozione di un equilibrio sfiorato. Plurime le letture, tutte coerenti e collegate da un unico filo che tesse la trama dell’esistere, che entusiasmano che, come me, da anni si coltiva nello studio dell’essere umano e della sua comunicazione attraverso il mezzo artistico.
Le espressioni di G. Tarozzi non racchiudibili in schemi precisi, definibili, come solo si può per i prodotti della tecnologia, hanno miriadi di possibilità di essere recepite (così com’è l’Arte stessa per natura inclassificabile), ma possono sempre esprimere un punto del complesso microcosmo umano e del suo sentire. Nel presentare questa sua mostra, ne prospetto una lettura che sento la più vicina al suo VIAGGIO INTERIORE, alla ricerca de se, alla ricerca dell’umano.
C. Zucchi
Settembre 1999